Cultura
Medicinali orfani Agevolazioni cercasi
Le aziende italiane sollecitano la detassazione
di Redazione
Ogni anno decide a chi destinare i 12 milioni di dollari messi a disposizione dal governo americano per la ricerca scientifica: è la dottoressa Marlene Haffner, direttore dell?Ufficio per lo Sviluppo dei Prodotti Orfani alla Food and Drug Administration, l?ente che negli Usa stabilisce cosa può chiamarsi farmaco e cosa no. Gli Stati Uniti investono con decisione nella ricerca sulle malattie rare, anche quando il ?bacino d?utenza? dei medicinali è talmente esiguo da non risultare appetibile alle case farmaceutiche.
Dal 1983, anno di approvazione dell?Orphan Drug Act, la legge che fissa le regole per attivare il finanziamento della ricerca sui prodotti terapeutici ?orfani?, l?attenzione dell?industria farmaceutica nei confronti di questo settore è notevolmente cambiata anche perché le agevolazioni fiscali, l?assegnazione di fondi ai ricercatori e i diritti commerciali esclusivi sul prodotto finale rendono molto meno ?a rischio? l?iniziale impegno economico.
Marlene Haffner cita con soddisfazione i ?fiori all?occhiello? del suo ufficio: «Abbiamo reso possibile la commercializzazione dell?Azt, il farmaco principale della terapia contro l?Aids che venne messo a punto come ?orphan drug?, e dei preparati a base di Carnitina, oggi utilizzati in farmaci per la crescita di bambini affetti da nanismo o malattie similari?. Il programma di sostegno agli ?orphan drug? ha costituito uno stimolo tale al mondo farmaceutico che negli Usa sono sorte aziende con l?obiettivo esclusivo di mettere a punto farmaci orfani e quelli attualmente commercializzati sono oggi circa 200.
E nel Vecchio Continente? «Il rischio è quello di perdere il treno», denuncia il presidente di Sigma-Tau, Claudio Cavazza. «Le case farmaceutiche hanno bisogno di finanziamenti e agevolazioni fiscali per attivare questi programmi di ricerca, finanziamenti e agevolazioni che oggi non ci sono. Hanno bisogno di governi che investano nella ricerca scientifica e che credano davvero allo sviluppo dei beni immateriali come a una delle più grandi ricchezze per le nuove generazioni».
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